Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

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Dibattito a Boves. 1956: la repressione dei moti ungheresi    Torna alle categorie

Dibattito a Boves

Dibattito a Boves

1956: la repressione dei moti ungheresi. Discutiamone.

1956: in Italia crescono i consumi individuali, nasce la Corte costituzionale, per chi crede nelle favole vi è il matrimonio fra il principe Ranieri di Monaco e l’attrice Grace Kelly. La realtà è più tragica: il 25 luglio affonda il transatlantico italiano Andrea Doria, l’8 agosto incidente nella miniera belga di Martinelle con 254 morti. 136 sono emigrati italiani. Per i giovani provengono dall’America nuovi termini: rock and roll, juke box, flipper, jeans. L’ambasciatrice USA in Italia, Clara Luce chiede che non venga proiettato il film Blackboard jungle (Il seme della violenza)  per l’immagine che offre dei giovani dei quartieri popolari di New York. Esplode il mito di Brigitte Bardot (Et Dieu crea la femme).

La politica italiana è segnata da governi centristi con maggioranze risicate e dallo scontro netto tra DC (40%) e sinistra (PCI 22% e grandissimo radicamento sociale, PSI 12%). Soprattutto a sud è presente la destra, monarchica (il fenomeno Achille Lauro) e neofascista. Si hanno i primi segni di quello che sarà il maggior fenomeno sociale della nostra storia: la migrazione interna da sud a nord.

Nel mondo comunista, apparentemente compatto, avviene un ciclone: il 14 febbraio si apre il congresso del Partito comunista sovietico, il primo senza Stalin.

Il nuovo leader, Nikita Krusciov, ipotizza vie al socialismo diverse da quella seguita dall’URSS, dichiara non più invitabile la guerra fra sistemi sociali diversi, propone la strada di una competizione pacifica dalla quale emergerà chiaramente la superiorità del sistema socialista. Per la prima volta sono sotto accusa molti aspetti del sistema staliniano: il culto della personalità, il burocratismo, le violazioni della legalità socialista.

Va molto più in là il Rapporto segreto, letto da Krusciov in una seduta ristretta, a porte chiuse. Inquesto si denunciano i crimini di Stalin, i processi degli anni ’30, le deportazioni di massa, le illegalità che hanno distrutto il metodo leninista e creato un clima di terrore.

Il rapporto è pubblicato il 5 giugno dal “New York Times” e ripreso da molti giornali occidentali, in Italia dall’ “Espresso”.

Sono ovvi lo choc e l’incredulità nei militanti comunisti del mondo intero: Come se il Papa avesse annunciato che Dio non esiste.

Ancora maggiore è la ricaduta sui paesi dell’est europeo. A fine giugno a Poznan in Polonia grande protesta operaia contro le condizioni di lavoro e l’aumento dei prezzi: 38 morti e 270 feriti.

“L’Unità” e Togliatti non hanno dubbi: i moti sono opera di malavitosi, provocatori, vi è un attacco armato contro lo stato popolare. Vi è, cioè, la presenza del nemico.

Se la situazione polacca tende a sciogliersi, per un parziale rinnovamento nel partito e la nomina a leader di Gomulka, per molti anni emarginato, esplode invece, in ottobre, in Ungheria.

La protesta di studenti ed intellettuali si estende ad altri strati sociali e mette in discussione il sistema autoritario, l’assenza di ogni democrazia, il partito unico. Il potere passa nelle mani di due dirigenti comunisti “innovatori”, Nagy e Kadar che si impegnano ad attuare riforme politiche ed economiche. La situazione è, però, fuori controllo. Nagy apre il governo a tutti i partiti e dichiara che l’Ungheria uscirà dal patto di Varsavia. Kadar chiede quindi l’intervento delle truppe del patto che il 4 novembre entrano a Budapest. La repressione dei moti è durissima.

Inevitabili le ripercussioni nella sinistra italiana.

Nonostante il profondo rinnovamento del PCI e la riproposizione, da parte di Togliatti, del policentrismo e della via nazionale al socialismo (compito fondamentale attuare la Costituzione che contiene in sé elementi di socialismo), la crisi è profonda.

Se la classe operaia tiene, se i risultati elettorali non vedranno il crollo da molti atteso, il calo nel tesseramento è netto e la diaspora egli intellettuali è inarrestabile. Se ne vanno Fabrizio Onofri Furio Diaz, Antonio Giolitti (il caso più eclatante), Natalino Spegno, Italo Calvino, Bianca Guidetti Serra e migliaia di altri. Guido Aristarco sintetizza con una formula dicendo che gli intellettuali per la prima volta si sono sentiti Sciolti dal giuramento.

La necessità di ridiscutere tutto, di ripartire da capo, di cercare nuove strade si esprime nella grande “stagione delle riviste” che proprio in questa stagione prende vita. Razionalizzazione capitalistica ed apertura alle “nuove discipline” (sociologia in primis) per troppo tempo emarginate, ricerca di una nuova strategia operaia e di una sinistra non stalinista si contrappongono.

E’ la stagione in cui si rileggono Marx e Gramsci (teorico della rivoluzione in occidente), in cui Panieri elabora la conricerca e la strategia del controllo operaio, in cui Giolitti propone le riforme di struttura e l’utilizzo in esse delle novità tecnico- scientifiche, in cui Vittorio Foa vede solo nella conflittualità dal basso la leva per una reale programmazione democratica.

E’ il periodo in cui si consuma il primo tentativo (Azione comunista) di dare vita ad una alternativa alla sinistra storica, tentando di unificare i vari filoni “antistalinisti di sinistra”

Forse tutto è lontano, ma forse vale la pena di conoscere e discutere quegli anni, uscendo dai giudizi semplicistici come da quelli assolutori. Abbiamo alle spalle una storia difficile e complessa, fatta di pagine esaltanti come di drammi ed errori che peseranno per decenni.

Per questo a BOVES, sala Borelli, GIOVEDI’ 9 NOVEMBRE discuteremo del ’56, non solo ungherese. Oltre a me,due testimoni diretti: Mario MARTINI, allora sindaco democristiano del paese, e Gianni ALASIA, protagonista della sinistra non solo torinese.

Sergio Dalmasso.

 

 

 

 

 

Comunisti/e a Boves.

Bartolomeo Giuliano, partigiano, ferito e mutilato, insegnante alle elementari prima e alle medie poi, consigliere comunale per 30 anni (un record!), iscritto al PCI dopo la sconfitta elettorale del 1948; la moglie, Edda Arniani, pure insegnante elementare, militante da sempre, combattiva e polemica come ci dice l’immagine della sua terra, la Romagna; Lino Manduca, partigiano, insegnante, riflessivo, attento alle novità, curioso e sempre disponibile alla discussione.

Prima di loro Giovanni Ghinamo, “Spartaco”, unico bovesano combattente nelle Brigate internazionali in terra di Spagna, poi confinato in Francia ed in Italia, partigiano da subito, fondatore del piccolo PCI bovesano da cui esce, per dissensi politici, con molto dolore e profonde contraddizioni, nel 1951.

E poi Alessio Revelli, altra generazione, quella del Vietnam. Come dimenticare l’impegno continuo, la vita modesta e coerentissima, l’interesse per i temi sociali e per quelli internazionali (La Cina, la Palestina), l’impegno nei gruppi della nuova sinistra, sino alla morte prematura (1990, a 42 anni).

E poi ancora Rita Varrone:  famiglia comunista anche durante il regime (una delle pochissime in paese), delegata di fabbrica nelle “filande locali” in cui lavora fin da giovanissima, moglie di un ex partigiano due volte licenziato negli anni ’50 per motivi politici; la sua è una militanza apparentemente modesta, come tante altre, ma eroica nella sua continuità. La sua iscrizione a Rifondazione, sin dal 1991, è nel solco della continuità (sono tesserata dal 1946!) e del ricordo del marito, scomparso da anni.

Per ultimi Desiderio Fornasari e Aralda Portioli, 93 anni lui, “solamente”90 lei, sposati da quasi 70 anni. Arrivano in paese oltre 40 anni fa, ma conservano e non solo nell’accento, tanti caratteri dell’Emilia da cui provengono.

Nei loro ricordi l’avvento del fascismo nei loro paesi, la guerra, la povertà degli anni successivi, l’esperienza di sindaco di Fornasari, dal 1946 al 1951 nel comune di Luzzara, patria del comunista “eretico” Bruno Fortichiari. L’impegno, la lotta contro i mille problemi quotidiani del dopoguerra, gli ostacoli posti dal governo centrale, i risultati (ancora oggi, quando va a Luzzara, qualcuno lo chiama sindaco). E in Aralda (il nome è già un programma di vita) il ricordo affettuoso del padre anarchico, delle sue scelte e il rimpianto per il fatto che la tensione di un tempo sia completamente scomparsa, che tutto sia diverso rispetto ad anni difficili, ma pieni di ideali e di fede.

Queste sono le memorie di bovesani- bovesane  che ho raccolto accanto ad altre decine di militanti politici e sindacali della provincia di Cuneo (e non solo). E’ una storia minuta che ci parla di un passato che a volte appare lontano e sembra parlare poco all’oggi, ma che testimonia, pur nelle differenze di valutazione quanto la realtà del PCI, la sua storia, la sua forza si siano basati non solo sui dirigenti, i rapporti internazionali, le scelte politiche, ma su una militanza e una coerenza di milioni e milioni di uomini e donne che nel comunismo hanno visto la grande speranza di una liberazione da mali ed oppressioni secolari.

I due quaderni del CIPEC (centro di iniziativa politica e culturale) saranno presentati a Boves in data da definirsi. Recita di brani delle interviste, canzoni, testimonianze. Interverrà con me, Nello Pacifico, partigiano, per tanti anni giornalista all’”Unità”, testimone di tanti fatti ed episodi della sinistra nono solamente torinese.

Sergio Dalmasso